Nasce a Zollino il 24 agosto 1889 e muore il 13 luglio 1968.
Chi lo ha conosciuto giura che era un personaggio estroso e creativo; un artista che oggi pochi conoscono.
La sua giovinezza coincise con un periodo in cui in città fiorivano e si distinguevano uomini di cultura quali: i poeti Elia Franich e Agostino Cataldi; il sindaco poeta Luigi Sansò; il pittore Giulio Pagliano; lo storico Ettore Vernole.
Oltretutto è in questo periodo che si imponeva all’attenzione generale l’attività artistico-culturale dell’Associazione “Amatori d’Arte” con l’elezione a Presidente del Sodalizio di Elia Franich. In quegli anni si affermava sempre di più la “mostra d’arte moderna”, che vedeva, tra gli altri, la partecipazione di artisti quali: il Trifance; il Pagliano; il Flora; il Nocera. Dongiovanni, seppur non addottorato, faceva parlare di sé per il talento di compositore e musicista.
La sua produzione pentagrammale, infatti, ha dell’inverosimile, avendo composto una gran quantità di marce, polke, mazurke, inni sacri, inni patriottici, preghiere, trascrizioni di opere liriche per chitarra e mandolino. La sua unicità però sta nel fatto che “Mesciu Alfredu”, come affettuosamente viene ricordato, era un autodidatta. Perché lui infatti di professione faceva il barbiere, in via D’Elia, dove oggi ha sede il Banco di Napoli. In quel periodo il barbiere era il “factotum della città”. E Dongiovanni lo esercitava in modo eccellente. A sentir parlare di lui si ha la sensazione che come cerusico era un portento. Il “nostro barbiere artista” aveva elaborato una lozione, (la ricetta però è andata smarrita) che spalmata sulle macchie della pelle (volgarmente chiamate “paddiscene”) le faceva sparire. Neanche la caduta dei capelli per lui aveva segreti. Miscelando alcune sostanze era riuscito a curare l’alopecia.
La figlia Tetta, ancora vivente, avuta dalla moglie Argia Biasco, figlia di Francesco Biasco costruttore del teatro Eldorado, oggi Teatro Schipa, confida che il suo papà, con il fischio della bocca, ammaestrava alcune coppie di canarini. Questi uscivano dalla gabbia all’apertura del salone e rientravano all’ora della chiusura.
Ma a noi è l’artista che interessa. Ed ecco che spontanea e fruttuosa nasceva un’intesa tra Alfredo Dongiovanni e i poeti dell’epoca. Principalmente con Elia Franich e Agostino Cataldi. Quest’ultimo era considerato “il poeta di tutte le cerimonie cittadine” e del quale, il maestro, musicò tra l’altro, Danza di bambole, Viva il Lavoro, Viva il Re. Del Franich, Dongiovanni compose il “Testamento dell’Eroe” e venne eseguito per la prima volta il 24 maggio 1924 in occasione dell’inaugurazione del monumento ai caduti di Gallipoli e “col quale si meritò – scriveva il giornalista U. M. su “La Provincia di Lecce – lusinghiere congratulazioni di S.M. il Re, di S.M. la Regina Madre e alte personalità politiche e militari; di S.E. Mussolini, di S.E. Diaz, di S.E. Tahon De Revel, del Comandante del Corpo d’Armata di Bari Generale Montanari, dell’On Postiglione”.
Il giorno dopo lo stesso articolista scrive “Il Dongiovanni, un giovane sorto, da modestissimi natali, sviluppando il proprio impegno naturale, ha raggiunto un grado notevole di inspirazione e di tecnica nella difficile arte dei suoni, che davvero riesce degno di lode il non comune esempio”. Dongiovanni musicò anche composizioni poetiche di altri autori, tra questi il professore Ettore Perrella, meglio conosciuto, con lo pseudonimo “EPEA”. In occasione della festa di chiusura dell’anno scolastico del 1923, e precisamente il 29 giugno, veniva eseguito, nel teatro Schipa il canto patriottico, “La Bandiera” scritto e messo in scena dallo stesso Perrella e musicato da Dongiovanni, che “non poche prove di sentito senso musicale ha dato e dà tuttavia riscuotendo sempre massimi consensi”.
Il nostro compositore sicuramente ci tiene all’amicizia e alla stima dei suoi “colleghi” artisti tanto che cura in modo particolare l’intesa con i maestri musicisti Gino Metti, Cosimo Pindinelli e Raffaele De Somma, autore questi di numerose e pregevoli opere liriche e marce sacre. Nel 1921 infatti a suggello della collaborazione tra il Dongiovanni e il De Somma, veniva eseguita per la prima volta e diretta da quest’ultimo, ”Pace Europea”, uno dei primi lavori del nostro compositore autodidatta. L’esecuzione della marcia avvenuta nel teatro sociale di Brescia, “avvinse gli spettatori raccogliendo frenetici ripetuti applausi”.
Ad Alfredo Dongiovanni però non mancava l’ispirazione poetica. Essa traspare in tutta la sua delicatezza e incisività dalle poche righe autografe poste sulla cartella delle sue memorie, a “…modesto ricordo del mio ideale che adolescente caldeggiai, mentre l’armonia arcana delle note, mi cingeva l’anima di un’onda di tenerezza, carezzandomi lo spirito, adornando la mia memoria di un’aureola di luce soave come visione d’amore…” firmato Alfredo Dongiovanni. Un Artista con la A maiuscola, che oltre ad essere un fertile e originale compositore era anche un valentissimo suonatore.
Un attestato di stima, di quelli che ti marchiano, lo ricevette dal grande baritono Tito Gobbi, giunto a Gallipoli per un concerto. “Lei maestro ha del talento” sentenziò Gobbi, dopo averlo ascoltato in una esibizione al mandolino, nel “salone”, recatosi lì per farsi tagliare i capelli. La musica Dongiovanni ce l’aveva nel sangue e tra un’insaponatura e l’altra dava un saggio del suo talento assieme ai suoi allievi, tra questi don Pippi Leopizzi, esibendosi in veri e propri concerti.
Ed appunto su “La Provincia di Lecce” del 18 marzo 1921 l’articolista scriveva “Il Dongiovanni suona anche deliziosamente. – Per inciso và detto che gli strumenti (chitarra e mandolino) li ordinava direttamente a Santa Venerina in provincia di Catania, con le caratteristiche che lui stesso indicava nelle ordinazioni. – Nella chitarra solista – continua il giornalista – è così specializzato e perfetto da far confondere il suo magico strumento con una vera e propria orchestra.
Suona anche con grazia squisita un altro strumento non comune: il sistro (da lui stesso costruito con pezzi di vetro al posto delle lamine metalliche e che faceva vibrare con dei bastoncini) pel quale ha composto un ricco e difficile repertorio con riproduzione di opere, le cui melodie affascinano il pubblico. Del genio e della valentia di questo nostro valoroso conterraneo, che sintetizza quanto di più elevato e nobile racchiude l’arte bella, è da augurarsi il miglior successo, e noi siamo lieti di additarlo all’unanime ammirazione”.
È però il 22 gennaio del 1948 alle 13:13 che Alfredo Dongiovanni assurge alla notorietà nazionale. Una sua marcia, “Italia Nuova”, composta nel 1946 ed ispirata probabilmente dalla svolta politico-costituzionale avvenuta in Italia con l’avvento della Repubblica, viene mandata in onda dalla radio, allora EIAR, come sigla d’apertura di un programma radiofonico, che verrà replicato per cinque anni. L’evento stimola la fantasia di taluni suoi amici, che per esiguità di tempo non è stato possibile ancora individuare, tanto da dedicargli una poesia. “….Mesciaffretu maluratu, intra la ratiu sa ficcatu! Arripete cchiù ddavanda, intra la ratiu c’è la banda” recita infatti una strofa.
Per moltissimi anni questo, se vogliamo stravagante ma allo stesso tempo straordinario artista gallipolino, è rimasto nell’oblio. Noi siamo lieti di “additarlo all’unanime ammirazione” ritenendo che meriti di essere riscoperto, principalmente perché rappresenta un patrimonio della nostra città.
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