“Una dorsale collinosa di tufo si allunga da levante a ponente, tra Alezio e Gallipoli, ed è sperone proteso nel mare, matrice da cui furono per marosi e per bradisismo staccati e lo scoglio sul quale è edificata Gallipoli, e gli altri scogli che vi fan corona.[…] mentre sull’alta spina della dorsale collinosa predetta (che ha toponimo di “Daliano”) corre rettilinea la moderna strada congiungente Alezio (Aletium) con Gallipoli (Callipolis), due antiche strade congiungono i medesimi centri in fondo ai declivi settentrionale e meridionale. Queste due strade son chiamate adesso “Scalelle”(nord) e “Croce della Lizza” (sud) e nei millenni trascorsi concorrevano a congiungere la ellenica Callipolis al sistema stradale salentino”.
Queste le parole dello storico Ettore Vernole che nel 1938 descrive sinteticamente il sistema viario, tuttora esistente, che collegava Gallipoli all’entroterra inquadrando la posizione della città nel contesto geomorfologico del territorio.
Vasta parte di questo appartiene oggi a Gallipoli dal punto di vista amministrativo, ma conserva anche tracce della storia del lavoro e della vita dei paesi circonvicini.
E’ questo il caso della zona che lo studioso denomina col toponimo di Daliano, oggi chiamata Santa Maria delle Grazie per via della chiesa che vi sorge e che ormai è divenuta il simbolo della devozione dei cavamonti che qui hanno lavorato e lavorano.
Nella sua veste attuale la chiesa è del XVI secolo, ma conserva nell’impianto e nel sopravvissuto affresco della Madonna col Bambino tracce del rito greco in uso al tempo dei suoi probabili edificatori, i monaci Basiliani. Questi religiosi, fuggiti dall’Oriente al tempo delle persecuzioni iconoclaste di Leone III l’Isaurico, trovarono nella zona (così come nelle altre carsiche del Salento) un rifugio sicuro per via delle numerose grotte preesistenti. Successivamente organizzarono economicamente il territorio ridando impulso all’agricoltura e costituendo un punto di riferimento importante per le genti che ivi vivevano.
L’attività estrattiva nella zona risale probabilmente all’età del bronzo: il carparo (pietra calcarenitica di origine sedimentaria) veniva usato già dai Messapi per la realizzazione di opere difensive e funerarie. In epoca barocca, oltre che per fini costruttivi venne largamente usato in sostituzione della pietra leccese per la realizzazione di elementi decorativi così come si può ammirare, ad esempio nella Cattedrale di Sant’Agata in Gallipoli e in molte altre chiese presenti nella zona. L’estrazione del carparo era un tempo di quasi esclusivo appannaggio delle genti aletine, tanto da essere chiamata “pietra di Alezio”.
Questo paesaggio, fortemente antropizzato, è stato per alcuni decenni destinato al ricetto dell’immondizia indifferenziata e soltanto l’attaccamento di alcuni volontari lo ha salvato dal destino di discarica.
Oggi, di pari passo con l’avanzamento della bonifica, le cave stanno tornando ad avere la loro originaria funzione e le cavità risultanti dall’estrazione offrono una scenografia formidabile ad eventi e visite di pellegrini e turisti. Costituisce una tappa irrinunciabile per le escursioni naturalistiche primaverili e per gli amanti del trekking e della fotografia.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.