Questo palazzo è un esempio sobrio ed allo stesso tempo significativo di architettura palazziata gallipolina; fu ristrutturato e abbellito nella seconda metà del ‘700 a cura della famiglia Briganti, originaria di Racale, ma qui stabilitasi dal XVII secolo.
Il portale bugnato e le finestrature rilevate a stucco sono tipici esempi di un modo comunemente praticato dalla classe nobile cittadina di sottolineare, in ambito urbano, un preminente ruolo sociale e culturale.
Della struttura originale comunque resta l’ala sud del palazzo, mentre riedificata nel 1925 è l’ala nord, fino a qualche decennio fa adibita a caserma dei Carabinieri.
In questo palazzo nacque, nel 1691, Tommaso Briganti, giurista di grande spessore, ma anche filosofo, cattolico e anticurialista, vicinissimo al pensiero dei riformatori cattolici, e perciò fermo nella rivendicazione dei diritti civili e contrario alle pretese dei curialisti e alle teorie immunitarie a favore degli ecclesiastici.
Da Tommaso nacque, nel 1724, Filippo, assertore dei fondamentali diritti soggettivi integrati coi dettati nuovi della solidarietà sociale. Contiguo alle riflessioni e alle idee di Filangeri fu precursore, sulle orme del padre, dell’abolizione della tortura. Confutò il Beccaria circa l’introduzione dei “castighi eterni” e ne lodò l’auspicata abolizione della “tirannica superfluità delle pene”.
La famiglia Briganti, oltre che assumere un posto preminente nel dibattito culturale in ambito napoletano di matrice illuministica, resta fondamentale punto di riferimento nella rivendica del valore della libertà, della forza della ragione, del culto del dovere.
Ultimo epigone, tra i tanti di questa famiglia, fu Tommaso Briganti junior, di Domenico, (nato nel 1837), poeta romantico, che lungo un tracciato esistenziale e culturale familiare indicò, in pieno Risorgimento, la via del nazionalismo risorgimentale, conclusa la fase dell’universalismo illuministico.
Testo originale – Elio Pindinelli
Traduzione in lingua inglese a cura di Rocco Merenda
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