Secondo la tradizione, non supportata però dalla critica storiografica, questo antico tempio fu eretto ad opera del fraticello d’Assisi, S. Francesco, nel 1217.
Nessun elemento architettonico e strutturale sopravvive della vecchi chiesa mentre sono rintracciabili, nel chiostro conventuale confinante con la Chiesa, i segni della presenza francescana dell’osservanza nel XV secolo, prima della riforma dell’ordine.
La facciata in tufo carparo fu realizzata nel 1736 su canoni stilistici barocchi propri della cultura salentina ed applicata sulle lezioni del Borromini, da Mauro Manieri.
L’interno maestoso e luminoso a tre navate, con scansione degli spazi con paraste tardo cinquecentesche, fu abbellito ed arricchito di stucchi nel primo ventennio del ‘700.
A questa Chiesa è legata la tradizione popolare relativa a Misma il “malladrone”, che non volle pentirsi sulla croce, accanto al Cristo Crocefisso, come fece invece Disma, il “buon ladrone”.
Si narra che anche le vesti di Misma, ogni anno, si deteriorino, così come il peccato rode l’anima dell’uomo. In questa Chiesa, infatti, esiste la cappella detta “degli Spagnoli” con sepolcro gentilizio, costruita nel XVII secolo, a spese del Castellano di Gallipoli, il nobile spagnolo Giuseppe Della Cueva. Egli vi fece collocare la statua del buono e del cattivo ladrone, con il Cristo morto in una nicchia sotto la mensa e le statue di Maria, Giovanni e Giuseppe d’Arimatea, ai piedi dell’altare.
Gabriele D’Annunzio, che vide la statua del malladrone, ne rimase impressionato a tal punto da lasciarne indelebile memoria in alcuni suoi scritti.
Pregevoli, all’interno, le opere d’arte, dal S. Francesco attribuito alla scuola veneziana del Pordenone, ai bei dipinti del Catalano, al gruppo del Presepe litico cinquecentesco, al crocefisso ligneo secentesco, all’organo del 1726 dei gallipolini Pietro e Simone Kircher.
Si conserva in questa Chiesa l’altorilievo lapideo della fine del XV secolo raffigurante S. Michele Arcangelo e proveniente dall’antica chiesa di S. Angelo.
Testo originale – Elio Pindinelli
Traduzione in lingua inglese a cura di Rocco Merenda
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