TROPICALIZZAZIONE DEL SALENTO: A GALLIPOLI PESCATO IL VELENOSO PESCE SCORPIONE
Un evento straordinario ha catturato l’attenzione di pescatori e ambientalisti: nelle acque di Gallipoli è stato pescato un esemplare vivo di “Pterois miles”, meglio noto come pesce scorpione. Originario del Mar Rosso, è conosciuto per la sua straordinaria bellezza, esibendo pinne lunghe e filamentose che si dispiegano in modo elegante, un mix cromatico di rosso, arancione e strisce bianche che lo rendono visivamente inconfondibile. Tuttavia, queste stesse pinne sono dotate di spine altamente velenose, capaci di infliggere punture dolorosissime e talvolta persino letali per altre specie marine e, in casi molto rari, per gli esseri umani.
L’esemplare è stato fotografato e condiviso sui social da un gruppo di pescatori locali, suscitando molta curiosità e preoccupazione. Sebbene sia un pesce esteticamente affascinante, la sua presenza pone un serio rischio per le specie locali: il “Pterois miles” è infatti considerato una specie invasiva, capace di alterare l’ecosistema marino e mettere in pericolo la biodiversità. Da “alieno” nel Mediterraneo, il pesce scorpione è diventato comune anche nel Mar di Levante, in aree come il Libano, dove viene persino apprezzato come pietanza.
La cattura di questo esemplare a Gallipoli è indicativa di un fenomeno più ampio: la tropicalizzazione delle acque salentine, diretta conseguenza dei cambiamenti climatici che rendono il Mediterraneo sempre più ospitale per specie esotiche come il pesce scorpione.
Questo predatore, abile nel camuffarsi tra le rocce e i coralli, caccia all’imbrunire e si nutre di pesci più piccoli, crostacei e invertebrati, sfruttando l’efficacia del suo veleno per immobilizzare le prede.
Il veleno contenuto nelle spine del pesce scorpione può causare dolore intenso, nausea, vomito, difficoltà respiratorie, e in alcuni casi convulsioni e paralisi temporanea. Anche se le punture sono raramente fatali, è raccomandato un immediato intervento medico per ridurre gli effetti dolorosi e gestire eventuali reazioni severe. La sua presenza nei nostri mari invita alla cautela e a un nuovo livello di consapevolezza sull’impatto dei cambiamenti climatici sugli equilibri della biodiversità marina.